Management of obesity: improvement of health-care training and systems for prevention and care

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William H Dietz, Louise A Baur, Kevin Hall, Rebecca M Puhl, Elsie M Taveras, Ricardo Uauy, Peter Kopelman
Published Online February 18, 2015 http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(14)61748-7

Rita TanasIl lavoro pubblicato in febbraio 2015da Lancet, il quinto della serie dedicata all’Obesità, riscrive finalmente sotto una luce decisamente innovativa la sua complessa gestione  dalla prevenzione al trattamento in uno scenario planetario, per la grande esperienza degli Autori operanti in aree geografiche distanti e in ospedali pediatrici di grande prestigio. Nonostante la prevalenza dell’obesità in alcune aree registri finalmente dei lievi miglioramenti, verosimilmente grazie a una maggiore consapevolezza, politiche e approcci ambientali dedicati, c’è comunque un urgente necessità di strategie innovative per un approccio strutturato su più livelli interattivi finalizzato al controllo di una condizione cronica con un enorme carico clinico, che porta sempre più spesso a pazienti severamente obesi, difficilmente curabili,.

Prima di prendere in considerazione le modalità storiche e aggiornate disponibili per il trattamento multimodale dell’obesità negli adulti che includono il colloquio di motivazione e la consulenza clinica incentrati su alimentazione, attività fisica e cambiamenti comportamentali, farmacoterapia e chirurgia bariatrica, purtroppo ancora poco studiati nella popolazione pediatrica, gli Autori partono con un primo messaggio chiave fondamentale: il personale sanitario non ha una preparazione sufficiente per affrontare l’obesità. Durante la sua formazione da studente a specialista l’obesità è quasi sempre trascurata, per cui gli operatori sono scarsamente preparati ad approcciare i pazienti. In particolare i pediatri hanno una carente preparazione per applicare le tecniche educative motivazionali per i cambiamenti comportamentali nell’alimentazione e nell’attività fisica e per affrontare le sue comorbidità. Sarebbe opportuna quindi una profonda riforma dei sistemi formativi professionali.

Un secondo messaggio chiave riguarda la gestione della stigmatizzazione relativa al peso degli stessi operatori sanitari verso gli obesi considerati responsabili della loro condizione, con scarsa forza di volontà, pigri, poco sensibili alle raccomandazioni e quindi meritevoli di essere bersaglio di umorismo dispregiativo anche in ambiente di cura. Sono necessarie nuove strategie educative che diano enfasi alla complessità dell’etiologia dell’obesità e alle difficoltà per ottenere perdite di peso clinicamente significative e sostenibili nel tempo per ridurre gli stereotipi stigmatizzanti, e che promuovano invece l’auto-efficacia nell’approcciare il paziente con obesità. Purtoppo una pervasiva stigmatizzazione è diffusa anche tra gli specialisti che trattano pazienti obesi e mette in pericolo la qualità della assistenza sanitaria: meno tempo in appuntamenti, meno educazione sulla salute, meno esami di screening. I medici stigmatizzanti verso i pazienti per la loro obesità, li percepiscono come meno aderenti alle cure, esprimono meno desiderio di aiutarli; considerano con fastidio il trattamento dell’obesità, praticamente una perdita di tempo. Tali pregiudizi in ambito medico limitano il ricorso ai servizi e alla prevenzione. Chi a causa del peso ha fatto precedenti esperienze di trattamento irrispettoso per sè o per i propri cari è portato ad evitare future visite mediche, compromettendo la qualità della cura, ritardando diagnosi e trattamento delle comorbidità, innalzando i costi. E’ pertanto di grande importanza che il personale sanitario intraprenda un percorso per liberarsi da ogni forma di derisione implicita o esplicita.

L’algoritmo per il trattamento dell’obesità dell’adulto si associa a due importanti messaggi: i) anche una modesta perdita di peso del 5-10 % è salutare; ii) il mantenimento del peso o la prevenzione del recupero sono ottimi risultati sul lungo termine.

Gli Autori propongono un utile guida per la pianificazione del trattamento, l’Edmonton Obesity Staging System (EOSS), stadiando l’obesità in cinque livelli di gravità in base ai sintomi rilevati.

L’approccio per la gestione dell’ obesità deve prevedere quindi un sistema interventistico stratificato che parta da un intensivo intervento di tipo educativo verso cambiamenti comportamentali con incremento dell’attività motoria e riduzione degli apporti energetici. L’enfasi va spostata dall’aspetto puramente cosmetico, estetico ai benefici di salute, modificando le aspettative, aumentando la soddisfazione di risultato. La prevenzione del recupero del peso perduto è un obiettivo nel lungo tempo più importante della perdita di peso e modelli matematici validati integrati possono essere utilizzati per calcolare i deficit energetici più opportuni, ma non va trascurato che durante la perdita di peso si registra anche una diminuzione del consumo energetico al di là dei dati attesi dalle misure del peso e del cambiamento di composizione corporea. I vari trattamenti dietetici dopo 1-2 anni non mostrano differenze. Pertanto le strategie dovrebbero essere orientate verso i cambiamenti di stile di vita a lungo termine che includano modelli alimentari pratici, realizzabili e sostenibili. L’attività fisica, che potrebbe incrementare il consumo energetico del 20-40%, viene trascurata e la maggior parte della popolazione è sempre più sedentaria. Ma la sedentarietà è la maggiore responsabile di morte e disabilità tra le malattie non trasmissibili, indipendentemente dal peso. L’attuazione di strategie per migliorare e sostenere l’attività fisica nella popolazione è estremamente lenta. Basterebbero un minimo di 150 min alla settimana di attività fisica moderta-intensa e almeno due occasioni di potenziamento muscolare per dare salute a tutti gli adulti: anche con una perdita di peso modesta si ottiene un notevole miglioramento della composizione corporea e del metabolismo.

E quindi torna evidente che è la gestione dei cambiamenti nei comportamenti che può aiutare le persone con obesità a migliorare la qualità della loro vita motivandole e sostendole nel definire nuovi obiettivi di pensieri che specificano cosa, quando, dove, come e per quanto tempo i pazienti si debbano impegnare. Il successo dipende dalla presenza di professionisti impegnati, motivati, addestrati ad un approccio più empatico con il paziente, capaci di lavorare in collaborazione con team interprofessionali. Non solo, ma un altro messaggio importante è legato al concetto che per migliorare la cura dell’obesità è necessario l’allineamento dell’intensità delle terapie multidisciplinari alla gravità della malattia.

Alla terapia comportamentale si possono affiancare negli adulti anche le terapie farmacologiche e quelle chirugiche bariatriche con grande prudenza, perchè i pazienti diventeranno a vita a tutti gli effetti dei sorvegliati speciali da parte di tutti i livelli di cura per i rischi connessi da una parte dalla malattia, dall’altra dagli effetti collaterali delle cure.

Diventa quindi strategica, affinché la perdita di peso sia persistente nel lungo periodo, l’integrazione tra medicina di base, di comunità e specialistica con la condivisione dell’approccio clinico. Tutti i professionisti, quando si confrontano con realtà di non elevato livello socio-economico, trovano ormai la complicata coesistenza di malnutrizione e obesità.

Perchè Pediatri e Adolescentologi dovrebbero leggere quest’articolo? Perchè bambini e adolescenti, come dicono T. Lobstein e Coll., sono “part of a bigger picture” e purtroppo primo bersaglio del Marketing Industriale. La storia naturale dell’Obesità ha un frequentissimo esordio in età evolutiva. I dati di prevalenza e persistenza sono drammatici. Dalle prime raccomandazioni americane del 1998, che documentavano come gli operatori sanitari pediatrici spesso non diagnosticassero l’obesità infantile, non valutassero il BMI, né fornissero counseling su alimentazione e attività fisica, ancora i dati non sono cambiati. Per superare queste lacune diventa allora strategico a livello di sistema incoraggiare nelle cure primarie l’adozione di approcci standardizzati nella pratica clinica, l’attenzione per innovative tecnologie formative, lo sviluppo di collaborazioni con altri professionisti. Interventi comportamentali globali, familiari, precoci e, solo se necessari, intensivi, hanno dimostrato la loro efficacia. Quando si rendono necessari interventi che superano la capacità delle Cure Primarie, l’invio motivante, transitorio e fondato sulla collaborazione a centri territoriali o ospedalieri specialistici coordinati può migliorare il percorso.

La transizione al medico dell’adulto, come per tutte le patologie croniche, andrà curata.

Buona lettura a tutti!

Rita Tanas e Guido Caggese