Vitamina D e Covid-19: nuovi studi a supporto

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La vitamina D è oggi concepita non come semplice vitamina coinvolta nel metabolismo del calcio e nella salute delle ossa, ma come ormone pluripotente e un mediatore della risposta immune. La sua carenza è stata già collegata nella letteratura scientifica a rischio aumentato di infezioni virali del tratto respiratorio inferiore ed esacerbazione delle malattie polmonari ostruttive croniche e dell’asma. Dall’inizio della pandemia, il possibile effetto della vitamina D nella profilassi e terapia del Covid-19 è stato oggetto di diversi studi. Fra i più recenti, lo studio SHADE35, in cui è stato osservato che elevate dosi di vitamina D hanno un effetto coadiuvante nel promuovere la negativizzazione del paziente con tampone RT-PCR positivo, ma solo nei casi con infezione lieve. In Italia, uno studio retrospettivo su 52 pazienti, condotto dall’Istituto superiore di sanità con l’Ospedale Sant’Andrea di Roma, pubblicato sulla rivista Respiratory Research, ha confermato che bassi livelli plasmatici di Vitamina D, indipendentemente dall’età, si associano a forme di Covid-19 più gravi (maggiore presenza di marcatori dell’infiammazione, del danno cellulare e dell’alterazione della coagulazione, maggiore grado di coinvolgimento polmonare alla TAC). Al momento tuttavia resta difficile concludere se l’integrazione di Vitamina D possa svolgere un ruolo nel Covid. Secondo le linee guida congiunte del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), della Public Health England e del Scientific Advisory Committee on Nutrition, ci sono poche prove valide sul legame tra vitamina D e Covid-19, per cui sono necessarie ulteriori ricerche. Comunque, le Società ricordano che adulti e bambini dovrebbero assumere 400 UI al giorno di vitamina D tra ottobre e marzo. La revisione NICE 5 ha incluso un piccolo studio controllato randomizzato sulla vitamina D come trattamento in Spagna (76 casi), che ha riportato una gravità della malattia significativamente ridotta tra i pazienti trattati con alte dosi di vitamina D durante il loro ricovero ospedaliero, nessuno studio sulla vitamina D come prevenzione e 12 studi osservazionali che hanno investigato l’associazione tra le concentrazioni sieriche di vitamina D e l’incidenza di Covid-19. Due ulteriori studi non inclusi nella revisione NICE hanno riportato risultati contrastanti. In Brasile, una singola dose orale di 5000 μg di vitamina D non ha influenzato la durata della degenza tra i pazienti con grave Covid-19 (240 casi). In uno studio più piccolo in India (40 casi), i pazienti con Covid-19 lieve o asintomatico avevano maggiori probabilità di risultare negativi a 21 giorni se ricevevano integrazione giornaliera di vitamina D a partire da 1500 μg. Anche l’Unità operativa complessa di Pediatria degli Ospedali Riuniti Stabiesi si è occupata dell’argomento in una piccola review uscita sul numero di dicembre 2020 della RIMA (Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza).

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http://direnl.dire.it/minori/anno/2021/gennaio/22/?news=10&fbclid=IwAR3iTWhJhtCAeekdCdt2sLpFQGIBlcaqh8NsmFp89ewNetjWZcVDc0-UaJ8

Per approfondire:

Vitamin D and Covid-19: From potential therapeutic effects to unanswered questions. Teymoori-Rad M, Marashi SM. Rev Med Virol. 2021 Mar;31(2):e2159. doi: 10.1002/rmv.2159.

Vitamin D status may indeed be a prognosticator for morbidity and mortality in patients with COVID-19. Mandal AKJ, Baktash V, Hosack T, et al. J Med Virol. 2021 Mar;93(3):1225. doi: 10.1002/jmv.26569.

Vitamin D Status in Hospitalized Patients with SARS-CoV-2 Infection. Hernández JL, Nan D, Fernandez-Ayala M, et al. J Clin Endocrinol Metab. 2021 Mar 8;106(3):e1343-e1353. doi: 10.1210/clinem/dgaa733.